NON AVREI MAI PENSATO DIVENTARE (2009)

1° Classificato Premio Federico Garcia Lorca 2009

A volte

ai primi caldi

uscendo dall’aria ferma

alla fresca, quasi fredda, brezza

fuori

mi scompongo

e mi fondo

con il fuori

come sabbia turbino via

ed il vento che ognuno sogna

lo intraprendo.

-

Messaggio di Valerio Magrelli

Il mio apprezzamento va a poesie come "Sono solo", "A volte / ai primi caldi" o il magnifico congedo "Sono troppo poco moderno". Insomma, grazie per questa lettura. (Gennaio 2013)

Fabio Simonelli su POESIA n°245

Tra giorni che non sono da vivere e terrore quotidiano di cui si alimenta, Michele Morando porta alle estreme conseguenze un senso di vacuità post-esistenzialista, e più che al pessimismo cosmico di Leopardi fa il verso al pessimismo lisergico di Andrea Pazienza/Zanardi. Non c’è però l’aspetto goliardico, la risata che ci seppellirà: Morando spiega che seppelliti lo siamo già, e senza che nessuno abbia abbozzato un sorriso. Non avrei mai pensato di diventare è un libro fortemente e volutamente filosofico, dichiaratamente eracliteo, alla ricerca della verità. (Gennaio 2010)

Motivazione della giura al Premio Federico Garcia Lorca 2009

La poesia di Michele Morando è una forma di ricerca che prende l'avvio da una minuziosa osservazione della realtà esterna ed interna. Osservazione che riscontra la dispersione di tutte le cose e ne coglie immagini da cui partire per creare movimenti e sensazioni che vadano oltre l'apparenza della realtà stessa. C'è il divenire e c'è la sorpresa di fronte al divenire, anche al proprio divenire: è questo il concetto espresso dal titolo della raccolta in versi Non avrei mai pensato di diventare. La dispersione delle cose è soprattutto dispersione delle persone, incapaci di vera comunicazione. La poesia è potenziale rimedio intimo a quest'assenza, o quantomeno è strumento per esprimerla e dichiararla: l'espressione artistica è l'unica che possa scavalcare i vuoti di una società dove l'interazione umana si è ridotta alla stanca ripetizione delle faccende quotidiane. La scrittura di Michele Morando è precisa e incisiva e perviene spesso a momenti di rara chiarezza ed efficacia, come quando dichiara l'irraggiungibilità della comunione, apparentemente semplice, di un abbraccio: Ci si può/quando va bene, incastrarsi/ma abbracciarsi, no. O quando rifiuta la facilità di corrispondenze prestabilite e comode (Mai rispetto simmetrie/se le incontro fuggo) e persegue una verità più profonda: Facciamo il possibile/per affermare/l'impossibile. Viene espressa in modo limpido la consapevolezza dell'imperscrutabile vanità del vivere, che le parole dissezionano, ma solo per proporre qualcosa di altrettanto imperscrutabile: Le parole smontano/il senso del nostro vagare/e ce ne girano uno/altrettanto sconosciuto. L'Autore si muove fra questi due poli, la necessità della conoscenza e la sua impossibilità, in un vortice che spesso si fa disincanto: Qui tra la gente riposa il nulla/un niente così audace e profondo/che brucia, come la ferita dell'impotenza. La poesia sovrappone lo scavo dentro il proprio essere individuale alla denuncia di un mondo vuoto di sostanza, ed è da questa sovrapposizione che scaturisce l'autenticità dell'immagine, il suo valore universale e perciò frammentario, perché le verità affiorano sporadicamente e vanno cercate (o, più che cercate, incontrate, riconosciute e decifrate) come messaggi in bottiglia: Esistono solo imprecisi messaggi/che scelgono quando arrivare/dove, a chi. Ecco: questo piccolo libro di poesie è un messaggio, destinato a chi lo troverà e saprà leggerlo. Un messaggio denso, intriso del gusto forte e difficile della poesia che, come tutte le forme d'arte, non consegna soluzioni, ma indica sentieri dove cercare, guardare, anche solo camminare, che è già tanto: Solo a me stesso posso parlare/così lontano da quel che voglio. L'arte vera non ti regala le mele: ti da piuttosto qualche suggerimento per far crescere i tuoi meli.

Carlo Molinaro (giuria: Rina D'Alessandro, Carlo Molinaro, Sergio Notario)